mose e caldo tropicale

 

Venerdì mattina di una settimana estiva.

Venerdì mattina di una settimana estiva tra i 35 e i 40 gradi. 

L’Italia è ormai un paese tropicale senza essere addestrato ai tropici.

A mezza mattina qui la maggior parte delle persone hanno un’età media giovane: studenti universitari, liceali che bighellonano, bambini con mamme, turisti; poche presenze superano i quaranta: io, una coppia di turisti, una suora bassina e anzianotta.

L’aria condizionata allieta il percorso urbano, e stranamente non si è tutti appiccicati l’uno contro l’altro. 

Il sole è accecante, il cielo azzurro luminosissimo; per strada si superano i trenta nonostante il temporale notturno. 

 

Una delle ultime fermate di Mestre. 

Una delle ultime fermate di Mestre. Un ragazzo secco secco, con due braccine così, ma nervose, minacciose benché apparentemente fragili e come grissini; scende e subito inizia a inveire contro l’autista. 

Oh, coglione, cosa volevi fare con quelle porte, staccarmi la testa? , urla dal marciapiede. Ha una borsa con sé: un borsone rosso di una società sportiva che non riesco a identificare; i capelli rasati ai lati e dietro, bananone e gel, sopra. Mentre urla, in dialetto stretto, gli si formano sulla bocca delle bavette bianche, dense, che mi ricordano quelle che si formano a quelli imbottiti di farmaci. Il corpo freme di rabbia, è pura energia giovanile: sembra che pelle e scheletro siano uniti e tenuti insieme da fasci di nervi solidissimi, scattanti ed elastici. Un colpo di vento e volerebbe via, e al tempo stesso capace di una forza d’urto possente. 

Urla incurante di tutti: dei bambini, della suora, di tutti noi; a pochi passi la fidanzatina mastica il suo chewing-gum con espressione indifferente. 

Lui urla, lei mastica: muovono in sincrono le mascelle.

L’autista reagisce insultandolo a sua volta, ma con parole meno pesanti.

La tensione di due maschi che marcano il territorio: la stessa sia per gli uomini che per gli animali: un’aria densa di stupida fragilità di genere.

All’interno del bus le urla rimbalzano, evidenziando il silenzio che infrangono, sgretolandolo.

 

Penso che questa settimana è stata una settimana pesante

Penso che questa settimana è stata una settimana pesante per la città. 

L’arresto del sindaco, avvocato ricchissimo; degli assessori regionali, dell’ex presidente, di imprenditori: i lavori del MOSE sono una voragine senza fine; una tentazione, un’abbondante occasione che accontenta tutti. 

In nero naturalmente. 

Ci sono corruttori e corrotti. 

C’è un vorticoso flusso di denaro che sprigiona un irresistibile richiamo cui nessuno può resistere.

E l’idea che serpeggia è che siamo nel pieno di una babele in cui chi gestisce il potere, si concede alla tentazione senza remore, retro pensiero, scalfittura morale. 

 

E la gente

E la gente  – quella con due G: la ggente – , assiste e reagisce secernendo bava. 

La rabbia colpisce, scudiscia; tanto più, quanto non compartecipa; a maggior ragione se l’unico e ultimo strumento di comunanza è lo sdegno, che usa come frusta, come forca, come vendetta.

Questi esseri immondi usano i soldi pubblici per avere case sempre più grandi, sempre più auto, moto, barche, ristoranti, gente che gli succhia l’uccello, che le fa sentire amate,m desiderate, temute, adorate.

Gente che magari toglie soldi ai vecchi o agli handicappati per fare le ferie a cinque stelle.

 

E questo caldo che ti spossa, che non fa dormire, che ti fa galleggiare in una sorta di ubriacatura senza ebrezza, dovuta alla stanchezza. 

Che rende osceno, marchiano, caricaturale, un esistere che è sempre più un sopravvivere, e alcune volte, sempre più frequenti, una depressiva lotta contro la propria sconfitta sociale.

Un caldo che toglie le forze, la serenità, lasciando emergere gli aspetti più ancestrali e istintuali, librandoli dalle gabbie del perbenismo.

 

Il ragazzo tira fuori un coltello

Il ragazzo tira fuori un coltello, lo fa vorticare in aria, striscia la cabina di plastica dell’autista, sputa saliva spessa e bianchissima sul pavimento del bus. 

Ride e inveisce nella sorda e autistica indifferenza dei passeggeri.

Poi urla, strilla, piange, barcolla all’indietro fino a scendere dal bus.

L’autista ne approfitta, chiude la porta anteriore, accelera.

Ignorante, dice, rivolto al ragazzo.

Rivolgo lo sguardo al marciapiede della fermata.

Vedo il ragazzo accosciato; la fidanzata gli cinge le spalle col suo braccio. 

Da lontano pare in preda a una crisi di nervi; dalle movenze scattose, sembra stia singhiozzando.

Arriviamo sopra il cavalcavia,

L’autista scende.

Il suo collega gli dà il cambio. 

Gli chiede se va tutto bene. 

Sì, a parte il caldo, risponde.

 

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